Consiglio comunale, l’Assessora Carmelina Labruzzo interviene sui fatti di Calisese del 31 ottobre scorso

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La risposta all'interpellanza a firma del consigliere comunale di Fratelli d'Italia, Andrea Imperato

Data pubblicazione:

21 Novembre 2025

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La risposta dell’Assessora ai Servizi per le persone e le famiglie Carmelina Labruzzo risponde in sede di Consiglio comunale all’interpellanza presentata dal consigliere comunale Andrea Imperato di Fratelli d’Italia in merito al caso di cronaca relativo all’abbandono del bambino a Calisese.

 

“È legittimo da parte dei consiglieri comunali interrogarsi e pretendere chiarimenti. Non è legittimo, né eticamente accettabile, alimentare sfiducia nei confronti di professionisti del Settore Servizi sociali che operano nel solco delle norme e delle migliori linee guida scientifiche disponibili. L’utilizzo pubblico e politico di un evento così drammatico rischia di arrecare ulteriore dolore alle persone coinvolte, indebolire la fiducia della comunità nei servizi, peggiorare la prevenzione futura. Il nostro compito, e continuerà a esserlo, è tutelare: la dignità della madre, la sicurezza del bambino, la qualità dei nostri servizi, la trasparenza istituzionale, la legalità delle procedure. E lo faremo, come sempre, con serietà, responsabilità e rispetto”.

 

Da subito l’Assessora è entrata nel merito di quanto accaduto il 31 ottobre scorso precisando che “la donna, non essendo interdetta né sottoposta a misure di amministrazione di sostegno limitative della libertà personale, aveva piena capacità giuridica e decisionale. Tutti gli interventi sono stati realizzati nel rispetto del principio di autodeterminazione, fondato sugli articoli 2, 3, 13 e 32 della Costituzione, e ribadito dalla giurisprudenza consolidata della Corte Costituzionale”.

 

 

La presa in carico multidisciplinare: basi normative e evidenze scientifiche

 

Per la signora si è provveduto a una presa in carico in équipe multidisciplinare da parte dei Servizi Sociali Territoriali dell’Unione Valle Savio e dei Servizi dell’AUSL Romagna. Il percorso multidisciplinare è stato realizzato in conformità alle linee guida dell’Oms sulla gestione della gravidanza nelle donne vulnerabili, dell’ISS “Percorso nascita” (2020), di OMS/UNICEF sulle maternità fragili, alle raccomandazioni NICE (UK) “Pregnancy and complex social factors”, al DGR Regione Emilia-Romagna n. 160/2018 – “Percorsi per le maternità vulnerabili”, al Codice Deontologico Assistenti Sociali (artt. 12, 17, 25: autodeterminazione, rispetto della persona, proporzionalità dell’intervento), e al Codice Deontologico Medico (artt. 3, 4, 20: tutela della dignità, consenso informato, appropriatezza delle cure).

 

La questione del TSO: quadro normativo, linee guida e giurisprudenza

 

L’interpellanza richiama in un modo del tutto fuori luogo l’ipotesi di Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO) che, si precisa, non era giuridicamente, clinicamente né eticamente percorribile. Secondo le linee guida SIMSP (Società Italiana di Medicina di Sanità Pubblica, 2019) sul TSO, la misura non può essere disposta per ragioni sociali o di protezione del minore; non può essere prevenzionistica in assenza di un disturbo psichico acuto; non può essere usata come “tutela sociale”.

 

Nel caso specifico: non emergevano segni clinici di scompenso psichiatrico acuto, la donna non rifiutava alcun trattamento sanitario, erano pienamente attivabili misure extraospedaliere, già in essere. L’uso improprio del TSO costituirebbe: violazione degli artt. 13 e 32 Cost., abuso d’ufficio (art. 323 c.p.), trattamento illecito (artt. 582-610 c.p.), responsabilità civile per lesione del diritto all’integrità personale.

 

Ipotesi di collocamento in struttura: limiti normativi

 

La proposta di collocare la donna in una struttura protetta è stata valutata. Tuttavia il collocamento protetto, per legge, è sempre volontario, salvo misure dell’autorità giudiziaria, che non ricorrevano nel caso specifico.

 

Il percorso per il parto in anonimato: norme, linee guida e prassi operative

 

L’èquipe multidisciplinare ha messo in atto tutte le azioni che era possibile realizzare, a  tutela della donna e del nascituro, e solo l'indagine della Magistratura potrà fare luce sull'accaduto, nella interrelazione tra le istituzioni e le persone coinvolte.

 

La giovane donna era stata accompagnata verso il percorso di parto in anonimato, previsto e tutelato. Il percorso attivato prevedeva una presa in carico da parte del percorso “Maternità Fragile” (AUSL Romagna), l’attivazione precoce del punto nascita, la definizione di un accompagnamento sanitario–sociale condiviso, la predisposizione delle condizioni per un parto sicuro e anonimo. Le raccomandazioni NICE (UK) – Pregnancy with complex social factors indicano che: “l’abbandono neonatale in luogo non sicuro non è prevedibile quando la madre aderisce al percorso di parto protetto e non manifesta indicatori di rischio imminente”. Nel caso concreto: la donna aveva aderito al percorso; non vi erano fattori di rischio acuto; non vi erano segnali premonitori di un possibile abbandono.

 

Le linee guida OMS ricordano inoltre che: “L’evento di abbandono neonatale non è predicibile nella maggior parte dei casi, nemmeno in presenza di vulnerabilità sociale, e non può essere prevenuto imponendo misure coercitive”.

 

Nello specifico del parto in anonimato, si specifica che è un diritto garantito dalla legge italiana; in base a questo, una donna può partorire in ospedale senza dover riconoscere il neonato, il cui nome non sarà mai collegato a quello della madre. Al momento della nascita, infatti, la madre può decidere di non farsi dichiarare nell’atto di nascita e, se lo desidera, il bambino può essere lasciato all'ospedale per essere affidato alle cure del personale sanitario, e successivamente dato in adozione. L’articolo 30, comma 2, del DPR 396/2000 regolamenta questa procedura, garantendo la privacy della madre e la protezione legale del neonato.

 

Spesso le donne non ricorrono a questa opzione, perché non ne sono a conoscenza, oppure sono spaventate e decidono di partorire ed abbandonare il bambino in luoghi diversi da quello sicuro dell’ospedale.

 

Il lavoro dell’équipe sul caso in questione é stato quello di accompagnare la donna nella sua scelta di parto in anonimato, mettendo in rete da subito il presidio ospedaliero affinché potesse prendere in carico la donna e costruire familiarità col percorso fino al parto.

 

La normativa italiana che privilegia il diritto all’autodeterminazione delle persone, cercando di contrastare la limitazione della loro libertà personale, ha inteso tutelare le donne che vogliono ricorrere al parto in anonimato ed è proprio questo che è stato fatto nel caso specifico, grazie ad un fitto lavoro di rete integrata (servizi sanitari e servizi sociali). Preme evidenziare che la scelta finale della donna non era in alcun modo prevedibile: non c’è mai stato il sospetto in nessuno degli operatori impegnati sul caso, né segnali premonitori, che la stessa fosse minimamente intenzionata a prendere in considerazione il gesto dell’abbandono del neonato al di fuori della struttura sanitaria, data la esplicita adesione della donna al progetto del parto in anonimato in ospedale.

 

Ci preme inoltre portare a conoscenza del fatto che il Servizio Coesione Sociale-Infanzia, Adolescenza e famiglie del Settore Servizi Sociali ha curato la stesura della bozza delle “Linee Guida in materia di Parto in anonimato ed altre situazioni di pregiudizio per il neonato”, di prossima emanazione regionale e si è fatto promotore nei confronti della Regione Emilia-Romagna - Area Infanzia e adolescenza, Pari opportunità, Terzo Settore - Settore Politiche sociali, di inclusione e pari opportunità anche della loro adozione, ormai prossima.

 

L’eccessivo clamore mediatico e la violazione del diritto alla riservatezza delle donne partorienti rischia solamente di alimentare la paura e portare a scelte che possono mettere in pericolo la vita del bambino e della stessa madre rischiando che questo porti al fenomeno emulativo.

 

Il rischio del clamore mediatico: linee guida internazionali

 

L’OMS (2022) e UNICEF raccomandano esplicitamente che: l’esposizione mediatica di casi di abbandono neonatale; la diffusione di dettagli identificativi; la narrazione colpevolizzante o invadente; aumentano il rischio di fenomeni imitativi e peggiorano la tutela dei soggetti vulnerabili. La Carta di Treviso e il Codice deontologico dei giornalisti vietano la pubblicazione di dettagli che possano nuocere al minore o ai genitori vulnerabili.

 

Attivazione della procedura di “monitoraggio dei casi complessi”

 

AUSL Romagna e Unione Valle Savio applicano da anni una metodologia strutturata, conforme alle Linee guida del Ministero della Salute “Audit clinici e organizzativi”, che prevede: analisi interprofessionale dei casi, revisione di procedure e comunicazioni, individuazione di miglioramenti organizzativi. Questa procedura sarà attivata – come previsto – anche per il caso in oggetto, senza natura ispettiva, ma con finalità di apprendimento, confronto e crescita dei sistemi di welfare. Tutta la documentazione è stata trasmessa agli organi competenti: sarà la Magistratura a definire eventuali responsabilità.

 

Da ultimo, occorre evidenziare che ASP Cesena Valle Savio, più volte menzionata da voi sulla stampa e nel testo dell’interpellanza, non é intervenuta sul caso, non configurandosi alcuna competenza in materia.

 

 

Considerazioni conclusive

 

È stato annunciato sulla stampa locale che l’interpellanza presentata avrebbe fatto luce sull’operato dei Servizi Sociali, instillando nelle lettrici e nei lettori, con una buona dose di malafede, il tarlo della sfiducia, come se il lavoro quotidiano di una squadra di professionisti sul territorio fosse portato avanti in modo occulto, come per nascondere un modo di agire non corretto. L’interpellanza in questione, invece, fa luce su qualcosa di ben diverso: lo squallore, nel senso etico del termine, di un modo di agire e di fare politica che sceglie la strumentalizzazione al posto del rispetto. È grave, oltre che profondamente ingiusto, che una vicenda tanto dolorosa venga usata per insinuare dubbi o sospetti sul lavoro di chi, ogni giorno, si prende cura delle persone più fragili con competenza, coraggio e dedizione. C’è qui non solo una pochezza umana, ma anche una profonda ignoranza – nel senso letterale del termine – del funzionamento e del valore dei nostri servizi. E questo nonostante le numerose occasioni, in questi anni, di conoscenza e confronto. Nessuno ha mai parlato di eccellenze, ma di un servizio vivo, che ha saputo guardarsi dentro, cambiare, migliorare, e che continua a operare con professionalità e serietà, anche nei momenti più complessi. In questa vicenda, come sempre, la nostra attenzione va alle persone coinvolte, e soprattutto al bambino, a cui garantiamo tutta la competenza, la cura e l’impegno possibili per il suo futuro. A chi ha scelto di usare questa tragedia per un tornaconto politico, invece, resta solo una parola: vergogna.

Ultimo aggiornamento: 21/11/2025, 13:48

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